Sali sullo sgabello e partecipa all’assemblea

«Sali sullo sgabello e partecipa all’assemblea». Ferdinando Pozzati Piva, sessantenne di Comacchio non ammette eccezioni. Da vent’anni ha un appuntamento fisso con i cittadini di Bologna. Ogni giovedì mattina a piazza Maggiore lui e il suo sgabello diventano protagonisti. Un Hyde corner sotto le due torri che coinvolge non solo alcuni fedelissimi ma soprattutto i tanti  curiosi che passando decidono di fermarsi ad ascoltare.  Chi vuole parlare deve farsi sentire dall’assemblea, in modo mai banale vengono affrontati i grandi temi dell’attualità, soprattutto la politica, con una regola ferrea: «Chiunque può dire quello che vuole». Ed è così che persone di tutte le età, di tutti i ceti sociali e di tutte le aree politiche si confrontano. Per Ferdinando più che un impegno è una missione, che in passato gli ha procurato guai con la giustizia. Armato di taccuino e alternandomi sullo sgabello con il pubblico interessato scopro questo personaggio, nato in una famiglia benestante e che ha girato mezzo mondo vivendo di rendita. Un oratore che dice di conoscere miracoli e limiti delle parole e con fare socratico avverte: «Io ho più domande che risposte».


Quando ha iniziato con le assemblee in piazza?

«Alla fine degli anni Ottanta, quando c’è stato il caso delle mucillagini nell’Adriatico. In quel litorale ho lavorato per anni. Quelle condizioni di distruzione dovute all’uomo mi hanno convinto ad assumere un ruolo pubblico che portasse a un nuovo risveglio civico. A trasformare dei sudditi in cittadini».

Bologna è una città di sudditi o di cittadini?

«Su Bologna ho poco da dire. Semplicemente non è più una città. Un luogo dove ognuno guarda solo al proprio tornaconto non può definirsi città, è un centro commerciale. Bologna è un grandissimo centro commerciale».

Quindi tanti anni di parole non hanno ottenuto dei risultati?

«Forse pochi ma non mi fisso grandi obiettivi. Per me lo sgabello è un emancipatore civico, confido nella forza del dibattito pubblico. In realtà credo di dover migliorare anch’io».

Ha mai avuto ambizioni politiche?

«Il problema non sono i governanti ma i governati. Il vero problema è creare cittadini. Non ho mai pensato di candidarmi a elezioni politiche. Quello che faccio lo dovrei fare nella sede di un partito politico, ma non posso, ormai sono organismi chiusi. Lo devo fare in piazza, tra l’altro “clandestinamente”, non ho permessi».

I partiti: una vera e propria casta?

«La democrazia è fondata sul controllo. I cittadini possono punire alle elezioni i politici che non meritano la loro fiducia. Purtroppo le alternative non esistono e continuiamo a tenere in vita la casta. La casta è una fotografia di famiglia, la casta siamo noi».


La politica di Bologna sta vivendo un periodo nero, cosa ne pensa?

«Su Delbono ho un’idea molto chiara e non me la prendo con lui. Chiunque, se avesse a disposizione una massa di polli da spennare, li spennerebbe. Quindi per me ha fatto bene. Tendenzialmente sono un forcaiolo e ho sempre ritenuto che la colpa non sia di chi ruba ma di chi si fa rubare».

Ha la stessa idea della politica nazionale?

«Berlusconi non è il problema dell’Italia. O meglio, lo è perché divide gli italiani quando per uscire dalla “nottata” bisognerebbe creare cittadinanza attiva e solidale».

La critica alla politica le ha causato anche guai con la giustizia.

«Io sono laureando in filosofia. La vera laurea me l’ha data il periodo in carcere a Ferrara, due anni in tutto. Da un’altra condanna sono stato risparmiato dall’indulto. Io ci tengo a finire in galera ma sono stato indultato di autorità. Questa è l’Italia».

Che accuse le sono state mosse?

«Occupazione di suolo pubblico, vilipendio nei confronti del Presidente della Repubblica,  perseguimento di disegno criminoso. Considera che alla mia prima esperienza a Reggio Emilia, dopo quindici minuti che montavo mi portavano in caserma. Dopo che finisci in carcere torni in piazza con una credibilità diversa».

Una ricetta per creare coscienza morale?

«È una ricetta semplicissima. Scuola ed educazione, la mancanza di cittadini è dovuta al declino culturale. Una scuola ben fatta crea cittadinanza attiva. Chi è in condizioni di potere è sempre tentato da voglie dispotiche. Chi controlla non vuole cittadini, vuole vermi. L’informazione potrebbe aiutare a evitarlo».

Quali sono le colpe del mondo dell’informazione ?

«La televisione ha delle colpe gravi, ma non tutte le colpe. È evidente che in Italia non ci siano le condizioni adatte per fare un buon giornalismo. In Italia ci si sente condizionati dal proprio editore. Più in generale un problema fondamentale è che non si leggono i giornali».

Critiche per tutti. Lei è un pessimista?

«Non sono un pessimista ma un vero catastrofista».

Niente di positivo che eviterà la catastrofe?

«Razionalmente non ci credo. Mi affido all’ottimismo della volontà che fa a pugni con il pessimismo della ragione».

Prima della catastrofe ha già deciso quando appenderà lo sgabello al chiodo?

«Difficile dirlo. Dovrei conoscere le mie condizioni future. Probabilmente quando sarò sotto terra. Prima no, anche sulla sedia a rotelle io verrei in piazza a parlare».

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