ImHalal, con filtro per le parole “proibite”

IL progetto è di quelli ambiziosi: diventare il motore di ricerca preferito dei milioni di musulmani che ogni giorno sono online. Il punto di partenza – 500mila contatti nelle prime due settimane, una media giornaliera di 30mila negli ultimi giorni – è buono. Ma la sfida presenta non poche ambiguità.

Si chiama ImHalal – “sono Halal”, ovvero islamicamente corretto – il primo motore di ricerca per internet interamente musulmano: ideato da Reza Sardeha, un ventenne irano-kuwaitiano che vive in Olanda e studia Business Management, inaugurato ai primi di settembre, è concepito in modo da assicurare ai musulmani di non incappare su internet in contenuti “haram”, ovvero proibiti. Quando la ricerca tocca “temi sensibili”, una schermata avverte il navigatore dei rischi, classificandoli con una scala da uno a tre. Spetta poi all’utente scegliere se proseguire o meno nell’esplorazione.

Così, ad esempio digitando la parola “sex” si ottiene una risposta che recita: “Opps. La tua richiesta ha un livello haram di due su tre. I risultati possono essere proibiti. Se pensi ancora di voler proseguire clicca qui”. Stesso risultato se si inseriscono termini come gay, lesbian, pig o pork (rispettivamente omosessuale, lesbica, maiale e porco in inglese). O se si prova con “Satanic Verses” il titolo del libro che ha attirato sulla testa di Salman Rushdie una fatwa di condanna a morte.

Le ricerche possono essere effettuate in una quindicina di lingue fra cui l’inglese, il russo, l’arabo e il pashto. L’italiano al momento non è incluso. Anche per chi non è pratico di idiomi stranieri però, un’occhiata può risultare interessante: un vocabolo internazionale come “bikini” ottiene un livello di haram di due su tre. Mentre le pagine si aprono senza problemi se la parola ricercata è “burqini”, il costume da bagno integrale che tante polemiche ha generato nei mesi passati in Europa.

Sardeha spiega che il sito è in costante evoluzione: “Riceviamo molti feedback dagli utenti e in qualche caso facciamo delle modifiche – racconta – e siamo in contatto con degli imam che ci aiuteranno a stabilire cosa deve essere considerato haram”. Ma l’idea di base è chiara: “L’ispirazione mi è venuta dopo lunghe discussioni con i miei amici riguardo alle ricerche con Google. Molti di loro sono finiti per caso su siti dai contenuti troppo espliciti: così ho pensato che avremmo potuto sviluppare un motore di ricerca nostro, più orientato verso i valori islamici”.

Il giovane manager – che in un’intervista via e-mail si definisce un musulmano “praticante” ma non vuole specificare se sunnita o sciita, per non alimentare le tensioni fra le due componenti principali dell’Islam – nega che dietro al progetto di ImHalal possa nascondersi il rischio di censura: “Non lo credo assolutamente – risponde – filtriamo prima di tutto contenuti per adulti e pornografia. Ma nulla che riguardi la politica o l’arte”.

Il tono però cambia quando gli si propone l’esempio delle vignette di Maometto, la cui pubblicazione nel 2005 scatenò una crisi senza precedenti fra il mondo musulmano e quello occidentale. Una ricerca con la chiave “Mohammed’s Cartoons” produce un livello haram di uno su tre. Una scelta politica? “Filtrare quelle ridicole vignette non significa dare giudizi politici – sostiene Sardeha – questo non ha nulla a che vedere con la politica ma piuttosto con l’insulto religioso ai musulmani”.

Punto di vista condiviso? Sardeha punta a fare di ImHalal il motore di ricerca più usato in Medio Oriente nel giro di un anno: per avere una risposta, occorrerà aspettare qualche mese.

fonte repubblica